“Io vivo altrove”: l’autismo non si cura, si comprende
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«Questo libro è molto potente nel far capire che cos’è l’autismo e quante sfaccettature può assumere», dichiara Raffaella Turatto, presidente dell’associazione Gaudio (Gruppo Autismo e Disabilità Intellettiva Onlus), Sud Est Milano, commentando il libro “Io vivo altrove: l’autismo non si cura, si comprende” nella giornata mondiale della consapevolezza sull’autismo celebrata il 2 aprile.
Raffaella ci consiglia il libro di Beppe Stoppa per ricordarci come l’autismo possa assumere forme differenti e come sia più corretto parlare di “spettro autistico”, un termine ombrello che ha la capacità di racchiudere al suo interno una varietà di neurodiversità che possono o meno essere accompagnate da disabilità cognitive e/o altre compromissioni.
Red Fryk Hey, attivista autistica che si occupa in prima persona di divulgazione sul tema, chiarisce come “l’autismo non è né una patologia, né una malattia, ma un tipo di funzionamento mentale diverso dallo standard”. Per decenni si è cercato di modificare i comportamenti delle persone autistiche per farli rientrare nella “norma”, come se gli mancasse qualcosa o vi fosse un meccanismo inceppato da aggiustare. Al contrario, per accettare le persone autistiche bisogna prima di tutto comprenderle e in questo è fondamentale informarsi e dialogare con coloro che possono e vogliono comunicare.
Il libro “Io vivo altrove: l’autismo non si cura, si comprende” è una raccolta di storie di genitori, amanti, educatori e delle stesse persone autistiche che hanno potuto e scelto di raccontarsi. Voci diverse che affrontano quotidianità differenti, ma con una peculiarità comune: l’incomprensione della comunità verso ciò che è diverso. In una società fatta di regole e percorsi standardizzati, di precise tappe temporali, ciò che fuoriesce dalla norma è visto come difettoso.
L’ostacolo principale è quindi quello culturale, che non ci permette di andare oltre una visione prettamente medica della disabilità e di comprendere l’importanza del rapporto tra caratteristiche individuali e ambiente, che troppo spesso stabilisce a priori chi sarà abile o inabile ad esso.
Non basta quindi la “consapevolezza”, ma è necessaria anche l’ “accettazione” di persone che hanno un funzionamento mentale diverso dalla norma. Solo così si potrà avere una reale inclusione.
C’è qualcosa di nuovo oggi nel sole,
anzi d’antico: io vivo altrove, e sento
che sono intorno nate le viole.
(Pascoli, L’Aquilone)
Sarah, 26 anni, sociologa e aspirante giornalista